Azienda data-driven e la cultura imprenditoriale fondata sui dati

Si parla tanto di cultura data-driven e noi di Biscuitway, in qualità di Growth Consulting, siamo tra i più grandi sostenitori di questo approccio.

Ti voglio però porre una domada fondamentale: sei sicuro che la tua azienda può davvero adottare una cultura data-driven abbracciando la governance dei dati, l’analisi e le strategie?

Un’azienda data driven si affida ai dati anche per prendere decisioni quotidiane

Parti dal presupposto che ogni giorno potenzialmente raccogli dati di ogni tipo e cominci a chiederti: come faccio a usare tutti questi dati in modo efficace?

Sostanzialmente ci sono una miriade di dati, sia scientifici che empirici. Avere un’azienda basata sui dati significa consultarli per gestire ogni aspetto dell’organizzazione aziendale.

Dunque, per le data-driven company quello che comunemente si chiama il data management non è da considerarsi come un mero aspetto tecnico, ma come un vero e proprio pilastro strategico dell’intero business.

Portare la cultura del dato a tutti i livelli aziendali è il modo più corretto per far sì che ci si faccia guidare dai numeri per prendere decisioni fondate, basate su fatti oggettivi e non sulle tue sensazioni personali. Hai un dubbio? Consulta i big data!

Cosa diavolo sono i big data?

Lo so, sono anni che si parla di Big Data e di come sono utili per le aziende, ma poi ti ritrovi sempre a chiederti: quali dati? Dove li trovo? Quanti sono?

Quando si parla di big data spesso le persone pensano solo al volume di dati da consultare, ma ci sono anche altre cinque V che possono aiutarti a rendere i dati preziosi.

Di fatti, nel 2001, Doug Laney, allora vice presidente e Service Director dell’azienda Meta Group, descrisse in un report il Modello delle 3V dei Big Data: Volume, Velocità e VarietàOggi si parla però di 6V dei Big Bata poiché il paradigma precedente è stato arricchito da altre due variabili: Veridicità, Variabilità e Valore. 

Una data-driven company dovrà dunque guardare i dati rispetto queste variabili:

  • Volume: acquisire, elaborare e archiviare anche grandi volumi di dati in modo scalabile per le crescenti esigenze aziendali, con dati prodotti da origini umane e macchine.
  • Velocità: il flusso di dati è spesso vasto e continuo e richiede piattaforme e capacità in grado non solo di gestire volumi significativi, ma anche di gestire questo flusso in tempo reale.
  • Varietà: l’integrazione di dati diversi in una struttura gestibile è la chiave per una solida opportunità per i big data.
  • Veridicità: essere in grado di identificare la pertinenza e l’accuratezza dei dati e applicarli alle finalità appropriate.
  • Variabilità: gestire e contestualizzare i dati in un modo che forniscano struttura, anche in ambienti di dati imprevedibili e variabili.
  • Valore: comprendere il potenziale per creare entrate o sbloccare opportunità attraverso i tuoi dati. Ciò riflette i risultati che applichi all’utilizzo dei dati: se non è prezioso, allora perché e quando lo conservi?

Come adottare una strategia aziendale Data-Driven: metti i dati al centro del processo decisionale

Hai un team di analisi dei dati? Beh, se non ce l’hai, è il momento di organizzarne uno. Se ce l’hai, i componenti di quel team sono gli unici a vedere e analizzare quei dati? E gli altri reparti restano tagliati fuori?

Detta così sembrerebbe che tu debba avere una schiera di persone che impieghino il loro tempo solo per questo: ma se sei una startup puoi investire tutto in questa analisi dei dati? Ovviamente no! Ma sicuramente devi importi questa regola fondamentale:

Prendi decisioni incentrate sui dati in tutti i dipartimenti al fine di avere una visione ampia su tutto ciò che sta funzionando e cosa no.

Questo è il motivo per cui tutte le aziende, anche con business diversi, si affidano ai dati nel prendere ogni decisione. Ma non finisce qui, ricorda:

Allinea la tua cultura aziendale con tutti i reparti per massimizzare le intuizioni. Creare una cultura in cui tutti riescano ad apprezzare come i dati portino valore garantirà che i processi interni/esterni e la cultura dell’azienda siano allineati con la massimizzazione degli insight.

Questo processo inizia con i vertici, quelle persone che dovrebbero pilotare questo nuovo processo prima che venga diffuso tra tutto il personale.

Quando il processo decisionale è guidato dai dati, le discussioni dei focus group aziendali o di reparto migliorano.

Come costruire un gruppo di lavoro data-driven

Una cosa estremamente necessaria è quella di circondarsi di talenti giusti.

Costruisci una cultura che dia credito alla scienza dei dati e alla gestione. Uno staff guidato dai dati è estremamente apprezzato nel mercato del lavoro di oggi e soprattutto è in grado di raggiungere più velocemente i risultati.

Ciò significa che assumere i lavoratori giusti, soprattutto quelli in grado di analizzare i dati, è importante. Quando assumi, cerca sempre quei candidati che sono a loro agio con le competenze relative all’analisi dei dati.

Inoltre, gli individui che per indole abbracciano i dati sono aperti a ciò che questa metodologia può insegnare loro. Questo è un tratto molto importante anche per quelli che sono altri input, come il feedback dei clienti e dei dirigenti, la ricerca qualitativa e i test degli utenti: promuovendo anche la cultura guidata dal Feedback e alla User Satisfation.

Infatti, se i dati nel processo decisionale aziendale sono necessari, lo stesso dovrebbe essere fatto anche sulla base di una visione onnicomprensiva degli obiettivi aziendali, piuttosto che sulla sola analisi dei numeri.

Se prendi decisioni basandoti solo su numeri e cifre, stai trascurando l’intuizione dei componenti del tuo staff, ignorando le esperienze sul campo con i loro successi e/o fallimenti. Questi tipi di input sono aggiunte indispensabili all’analisi quantificabile.

Non finisce qui, una volta che hai scelto le persone giuste inizia il vero lavoro:

  • Sostieni lo sviluppo e la formazione professionale del tuo gruppo di lavoro e ricorda che le competenze attuali dei tuoi dipendenti devono sempre crescere.
  • Prendi nota dei miglioramenti e testa sempre i processi.
  • Tutti devono essere pienamente formati sulle procedure standard e sulle conseguenze della mancata adesione alle misure di sicurezza sui dati e privacy.

La cultura del fallimento nell’approccio data driven

Attenzione, gli errori possono verificarsi e si verificheranno sempre. È inevitabile!

Nessun successo si ottiene nel vuoto: stabilire una cultura che faccia sentire le persone a proprio agio nel fallire è il modo sano per impostare una strategia data-driven.

L’obiettivo è il successo, senza dubbio, ma il fallimento fa parte delle aspettative.

Le persone all’interno della tua azienda sono le più grandi risorse, ma il successo dipende anche dalle persone esterne: i clienti/utenti.

Nell’adottare strategie, fai in modo che siano centrate sulle persone (sia dall’esterno che dall’interno). Un’azienda data-driven deve essere un’azienda basata sui dati a beneficio delle persone.

Tutto si riduce a una migliore esperienza del cliente, relativamente all’utilizzo del prodotto della tua azienda, o direttamente dal contatto con i tuoi dipendenti.

Un caffè può far crescere la tua azienda

Il successo è a portata di mano. Tutto ciò di cui hai bisogno? Le persone giuste per aiutarti e il desiderio di avere successo!

Una completa strategia di crescita potrebbe essere esattamente ciò di cui la tua azienda ha bisogno per migliorare il fatturato, mantenere i clienti e migliorare le tue performance.

Un Company Builder come Biscuitway potrebbe rappresentare la vera svolta.

La nostra forza è il metodo maturato dall’esperienza di anni. Siamo fermamente convinti che lavorare a stretto contatto con le aziende, entrando a far parte del loro team e guidandole passo dopo passo nei processi digitali, sia necessario per ottenere un risultato di qualità che unisca tutte le competenze verticali di ogni reparto.

Questo perché la consapevolezza è alla base dell’innovazione: l’approccio data driven, la contaminazione di idee, le esperienze e le competenze diverse tra i settori permettono di individuare prospettive nuove sui progetti nella loro totalità, identificando percorsi innovativi, alternativi, migliorativi.

La pensi anche tu così? Prendi un caffè con noi per conoscerci meglio!

Metaverso: che forma avrà il mondo nel prossimo futuro?

Sì, è proprio una mattina di primavera quando un venticello fresco e il cinguettio degli uccelli fuori dalla tua finestra socchiusa hanno interrotto il tuo sonno. Decidi così di alzarti! Dopo un’abbondante colazione in compagnia delle notizie che ti propone lo smartphone è l’ora di iniziare a lavorare.

Apri la porta dello studio, una stanza della tua casa, indossi il visore, i guanti con sensori intelligenti e vieni catapultato in ufficio… Benvenuto nel Metaverso!

Cosa significa Metaverso?

La parola “Metaverso” indica un luogo in cui convergono spazi virtuali e interattivi presenti in rete, accessibile dagli utenti attraverso un avatar che ne riproduca l’essenza attraverso le fattezze digitali. 

Il primo ad usare tale termine fu, nel 1992, Neal Stephenson autore del romanzo “Cyberpunk Snow Crash“. In tale opera Neal delinea un mondo virtuale in 3D popolato da avatar che permettono ai rispettivi proprietari di costruirsi una vita nuova in rete.

Il primo prototipo di metaverso può essere ricondotto al videogame Second Life che combina la realtà virtuale (ecosistema totalmente digitale) con la realtà aumentata (inserimento di elementi digitali nel mondo reale). 

Cosa si può fare negli spazi virtuali?

Il metaverso, dunque, è un mondo virtuale, o per meglio dire, un insieme di mondi virtuali che, attraverso la tecnologia e il rendering 3D, rendono l’esperienza in rete interattiva, immersiva e condivisa.

I primi accenni di Metaverso, come realtà sociale e immersiva, possono essere identificati negli ecosistemi di gioco online di massa quali Fortnite e Minecraft.

Secondo le prospettive di Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, oggi Meta, tra un paio d’anni sarà possibile vivere una “vita virtuale” a tutti gli effetti unendo piattaforme diverse. 

Se ci pensiamo, però, non siamo poi così lontani: gli strumenti digitali con i quali si è colmato il distanziamento sociale imposto dalla Pandemia Covid19 nel mondo del lavoro e dell’istruzione hanno dimostrato come gli ambienti virtuali possono essere dei validi alleati.

In questi nuovi mondi virtuali chi vi accede può svolgere, già adesso, una moltitudine di attività diverse. Attualmente nei metaversi è possibile giocare, incontrare amici e sconosciuti con i quali scambiare due chiacchiere, prendere parte a mostre, eventi e lavorare in sistemi integrati come quelli offerti da Coder Block, in cui noi di Biscuitway siamo stati trai i primi a credere e investire. 

Attenzione, la verità è che il metaverso non esiste!

No, non sono affetta da bipolarismo estremo e sto improvvisamente cambiando idea, ma una puntualizzazione è necessaria prima di entrare nei meandri del “metaverso che non è metaverso”.

Nel romanzo di Neal Stephenson il metaverso, per essere tale, si fonda su due pilastri ben solidi:

  1. il metaverso deve essere decentralizzato
  2. il metaverso deve essere unico.

In poche parole, di metaverso dovrebbe essercene uno solo, con standard aperti e di proprietà di nessuno. Impossibile!

Bene, fatta questa precisazione, è chiaro che tutto questo gran parlare di metaverso deriva dal proprietario del social blu che nell’ottobre 2021 ha annunciato il cambio del nome della sua azienda da Facebook a Meta:

“Per riflettere ciò che siamo e il futuro che speriamo di costruire, sono orgoglioso di annunciare che la nostra compagnia ora è Meta. La nostra missione rimane la stessa, si tratta sempre di unire le persone. Le nostre app e i loro brand non cambiano: siamo sempre la compagnia che progetta tecnologia attorno alle persone […] Ci si immergerà ancor di più nella nuova piattaforma sarà nell’esperienza, non si limiterà ad osservare. Chiamiamo tutto questo ‘metaverso’ e riguarderà ogni prodotto che realizziamo.”

Mark Zuckerberg
Amministratore delegato di Meta
meta metaverso Fcebook

Quindi si parla sì di spazio virtuale definito “metaverso”, ma non si tratta di uno spazio assolutamente libero e non centralizzato.

Prendendo in prestito il nome, allora possiamo parlare di “più metaversi” definiti come spazi virtuali, ma non separati dai giochi dei big player!

Caratteristiche del metaverso e blockchain

Dopo la doverosa precisazione, cerchiamo di dare una spiegazione più completa rispetto a come funzionano i metaversi.

Ciò che contraddistingue i metaversi dagli spazi virtuali nei quali agiamo ogni giorno è la persistenza dei contenuti digitali presenti al suo interno. 

Cosa significa?

Grazie alle tecnologie come la blockchain, struttura di dati condivisa e immutabile basata sulla crittografia, non solo i luoghi virtuali, ma anche gli oggetti e le identità degli individui (avatar) saranno permanenti. 

Questo perché ogni elemento digitale è identificato da una stringa di codice immutabile che ne attesta la titolarità e ne documenta la storicità. Emerge così come sarà possibile spostare da un mondo virtuale all’altro i beni e le identità digitali, gran parte di questi asset potranno anche materializzarsi nel mondo fisico grazie a tecnologie come la realtà aumentata. Questo rende possibile attribuire un valore, sociale ed economico, nel mondo fisico a proprietà del mondo digitale. 

metaverso bitcoin blockchain

A cosa serve il metaverso?

Le dinamiche di funzionamento del Metaverso si intrecciano, attraverso un’intricata trama, con quelle degli NFT (Non-Fungible Token).

Ti stai chiedendo cosa sono gli NFT?

Gli NFT sono oggetti unici e persistenti acquistabili in rete che possono essere paragonati ad opere d’arte. Ad ogni bene è legato un codice crittografato che attesta la proprietà e ne regola il valore sul mercato. 

Il primo incrocio fra queste due realtà virtuali è il mercato immobiliare dei terreni nel metaverso. Lo spazio e le strutture presenti nei mondi virtuali sono tutti NFT acquistabili sui marketplace del mondo crypto. Gli usi di tali spazi sono fra i più disparati ponendosi al servizio del mondo del gaming, dell’intrattenimento attraverso eventi e concerti, della formazione e delle attività professionali, del marketing. 

Come entrare nel metaverso?

Entrare nel Metaverso è più facile di quanto si possa pensare. Per immergerti all’interno di uno dei mondi virtuali ti basta scegliere la piattaforma da utilizzare, un computer e una connessione a internet.

Una volta scelto l’ecosistema virtuale nel quale immergersi, nella maggior parte dei casi, ti verrà chiesto di creare un avatar che riproduca le tue fattezze fisiche con il quale presentarti alla comunità digitale. 

Per aumentare l’immersività dell’esperienza potrai indossare degli occhiali VR che ti permetteranno di immedesimarti nel personaggio e interagire con gli elementi presenti a 360°. La tecnologia più progredita e diffusa, per questo genere di esperienze, sono gli Oculus prodotti da Meta

Metaverso e NFT: nessuno può farsi sfuggire l’occasione!

Negli ultimi mesi, il Metaverso e gli NFT sono stati l’argomento di discussione preferito fra i professionisti del settore, smanettoni di tecnologia e non.

Il renaming del gruppo Facebook in “Meta Platforms” è stata la notizia che ha sconvolto il mondo, ma non solo: vogliamo parlare di Bored Ape Yacht Club? Queste “scimmie annoiate sono state il fenomeno più sorprendente degli ultimi tempi. Bramate da schiere di entusiasti scommettitori del mondo delle criptovalute, il loro NFT è stato inizialmente venduto per 200 dollari l’unima, ma si sa, come avviene sempre per eventi inspiegabili, il loro valore è schizzato alle stelle e oggi alcune di quelle scimmie valgono più di un milione di dollari.

Per non parlare della miriade di iniziative che brand come ad esempio Louis Vuitton, H&M, Nike, Samsung e CocaCola hanno lanciato nei Metaversi!

Il metaverso: la passerella più ambita del settore moda

I big data finora generati dai diversi metaversi fanno emergere come la moda stia guidando il passaggio dal mondo fisico a quello virtuale. 

Le più note maison internazionali, alcune delle quali italiane, stanno facendo da apripista alla conversione del loro catalogo fisico in versione NFT. I capi prodotti da questi brand, una volta acquistati, potranno essere letteralmente “indossati” dagli avatar nei videogiochi o dagli utenti sui social attraverso i filtri da applicare alle immagini. 

Il mercato della moda che da sempre si è contraddistinto per la sua forte esperienzialità fisica, durante la chiusura forzata da Covid-19, ha fiutato la possibilità di sviluppare asset digitali da integrare all’interno di giochi e ambienti virtuali sempre più popolati e classificati come i nuovi spazi di socializzazione. 

metaverso passerella moda

In Italia, OTB proprietaria di brand come Diesel e Margiela ha annunciato la nascita di una nuova business unit chiamata “Brave Virtual Xperience”. 

La stessa Gucci, sotto la guida dell’illuminato Alessandro Michele, ha recentemente organizzato l’evento immersivo “Gucci Garden” in contemporanea all’omonimo evento fisico organizzato a Firenze. Per l’occasione è stato creato un metaverso popup sulla piattaforma di gaming “The Sims”. 

Nike, brand sportivo e all’avanguardia, ha sviluppato la strategia al momento più completa per presidiare i nuovi mercati del metaverso. Oltre ad aver registrato la proprietà intellettuale dei propri marchi (Nike, Just Do It, Jordan e Air Jordan, il logo swoosh e il logo Jordan silhouette), ha depositato una domanda di registrazione di un brevetto all’Us Patent and Trademark Office per un “metodo per fornire beni digitali crittograficamente protetti”. Da ultimo il 13 dicembre Nike ha annunciato l’acquisizione della società americana Rrfkt, specializzata nella creazione di sneakers virtuali e oggetti da collezione.

Il Meta-mercato Immobiliare

Un tempo sentendo la frase “Boom del mercato immobiliare” il nostro cervello avrebbe immediatamente pensato alle lussuosissime ville di Hollywood, a monumentali case vista Colosseo o al Financial District londinese. Oggi, invece, il mercato immobiliare sta spostando un ingente numero di capitali e risorse sui metaversi e nell’acquisto di spazi virtuali. 

I terreni, nello spazio virtuale si intende, vengono comprati sotto forma di NFT generando un certificato che ne garantisce l’autenticità e la proprietà alla stregua di un atto notarile. 

Decentraland, spazio virtuale fruibile da febbraio 2020, aveva già iniziato a vendere lotti di terreno (piccole porzioni di pixel) già nel 2007, in tempi non sospetti.

Composto da poco più di 90.000 appezzamenti di terreno virtuale che all’inizio della vendita avevano un prezzo che si aggirava attorno ai 20 euro, oggi, le porzioni di terreno virtuale più economiche valgono circa 12.000 euro.

L’azienda Boson ha pagato un milione di euro per 259 pezzettini su cui “costruire” un centro commerciale virtuale. Il co-fondatore di Boson Protocol Justin Banon decrypt ha affermato:

“Sarà un centro commerciale che collegherà un’estremità a Decentraland e l’altra a vari negozi del mondo reale, creando una connessione tra il metaverso e il mondo reale.”

Boson Protocol Justin Banon
metaverso decentraland

Oltre che acquistare terreni, sui metaversi, gli spazi possono essere presi in affitto.

Come nel mondo reale, anche in quello virtuale, esistono società immobiliari che si propongono da intermediarie tra domanda e offerta. La più nota è Metaverse Properties.

Succede tutto come nella realtà! Alcune fra le società immobiliari operanti nel metaverso oltre che mettere in conttatto proprietari e potenziali acquirenti, comprano anche lotti di terreno, costruiscono spazi di design polifunzionali per infine vendere la struttura completa a brand e aziende che vogliono traslare la loro identità nel virtuale. 

Cosa succederà all’e-commerce nei metaversi?

Approfondiró questo argomento in un articolo dedicato, ma intanto non possiamo non farci questa fatilica domanda: come cambieranno gli acquisti online?

La domanda è lecita, ma, a quanto pare, la risposta è abbastanza scontata: in effetti, se teniamo ben a mente che il Metaverso è un mondo virtuale (ma assolutamente reale) accanto a quello “fisico”, ne consegue che il destino degli shop online è segnato.

Quello che risulta inevitabile è che l’e-commerce sarà parte integrante del metaverso e molto probabilmente rappresenterà un’ottima opportunità per chi sarà in grado di comprenderne le dinamiche.

Questo significa che tutto il mondo virtuale si trasferirà nei metaversi? Assolutamente no! Saranno piattaforme come altre, cambierà la modalità, la tecnologia, ma non l’obiettivo.

Le declinazioni dei metaversi negli e-commerce sono potenzialmente infinite, ma dobbiamo fare attenzione a porci le giuste domande:

  • Di quale metaverso stiamo parlando?
  • Di quale blockchain?
  • Di quali strategie?

Come ci piace sempre affermare, noi di Biscuitway al fumo preferiamo l’arrosto!

Siamo pronti a prendere parte al design all’interno di questi spazi virtuali, ma senza perdere mai il giusto focus. Vuoi farlo anche tu?

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Le 3 componenti della Digital Transformation

La tua azienda ha veramente iniziato un percorso di Digital Transformation?

Abbiamo parlato nel precedente articolo di cosa è (e soprattutto cosa non è) la Digital Transformation. Era necessaria una piccola introduzione al tema, in modo che a partire da questo articolo, potremo entrare maggiormente in profondità e capire quali sono le 3 componenti della digital transformation.

Ma a chi è attribuibile il termine Digital Transformation e quando pare sia nato?

Alcune fonti sul web, sostengono con discreta convinzione, che l’anno di riferimento sia la fine del 2011 e l’attribuzione pare inequivocabilmente andare verso la società di Consulenza CapGemini in collaborazione con il MIT Center for Digital Business.

Partiamo dalla definizione che i ricercatori delle suddette organizzazioni diedero e che ancora oggi risulta particolarmente interessante:

La trasformazione digitale implica l’uso della tecnologia per migliorare radicalmente le prestazioni o la portata delle imprese.

Tale definizione risulta particolarmente interessante per capire come al solito in Italia e in gran parte di Europa non si sia capito una beata mazza!

Molte aziende infatti hanno interpretato negli anni il processo di trasformazione digitale dotando per esempio i propri dipendenti di dispositivi mobili o creando semplicemente delle infrastrutture cloud per archiviare i loro file.

Sarebbe di conseguenza molto semplice per me affermare che questa non è trasformazione digitale, ma proviamo ad essere concreti. Come facciamo a sapere se abbiamo effettivamente iniziato un processo di trasformazione digitale e se stiamo andando nella direzione giusta?  

Le 3 componenti della Digital Transformation

Esistono nella recente letteratura tre misuratori e indicatori di trasformazione digitale e comunemente vengono definite le 3 componenti della digital transformation:

  1. I processi
  2. Le operazioni
  3. I rapporti con i clienti

Trasformazione dei Processi

Partiamo dal primo punto. Mi faccio sempre delle domande quando entro in aziende dove i dipendenti fanno ancora affidamento su armadi per carta, penna e archivio. O in altre aziende, all’interno delle quali le persone comunicano tramite e-mail e telefoni cellulari. 

Una trasformazione digitale che si rispetti significa implementare tecnologia e processi completamente nuovi . L’invio di un ordine di acquisto via e-mail non è una nuova procedura; è semplicemente un modo più moderno di fare qualcosa che hai sempre fatto. L’automatizzazione dell’invio di un ordine di acquisto invece lo è.

Lo è perché fa risparmiare tempo. Perché potrai allocare i tuoi dipendenti su altre mansioni. Perché migliorerà la tua efficienza aziendale e la tua customer satisfaction.

Trasformazione delle Operazioni

Passiamo al secondo punto, quelle delle operazioni. Una volta mi è capitato di entrare in un’azienda che aveva un mono fornitore, non per convenienza ma per pigrizia. Mi chiamò raccontandomi che il fornitore era in difficoltà e si era trovato sguarnito, non avendo altri rapporti commerciali.

Cosa sarebbe successo se avesse avuto qualcuno che gli consigliasse per tempo che quella strategia commerciale era pericolosa? E se avesse implementato un sistema che gli consentiva automaticamente di monitorare i fornitori per il singolo prodotto? E se si fosse collegato automaticamente al loro listino prezzi?

Innanzitutto l’imprenditore non si sarebbe trovato in difficoltà, dovendo ricorrere ad un nuovo contatto commerciale sul quale non ha storico.

Inoltre non avrebbe perso tempo nel cercare manualmente altri fornitori e ricordiamocelo sempre: il tempo è denaro.

Infine avrebbe ottenuto maggiori marginalità derivanti dall’acquisto automatizzato nei confronti del fornitore più conveniente del momento.

Niente più telefonate, perdite di tempo e risorse allocate. Automatizzazione dei processi, certezza degli accordi ed indipendenza di posizionamento.

Trasformazione dell’esperienza del cliente

Proviamo ad ammettere che nei primi due punti, con un colpo di coraggio e con un po’ di culo nell’aver scelto la giusta agenzia di consulenza (non tuo cugggino), sia relativamente semplice notare l’impatto di una trasformazione digitale sui propri processi e operazioni. 

Tutto si complica invece quando si parla di esperienza della clientela e sua soddisfazione.

Tuttavia, le trasformazioni digitali hanno un impatto enormemente significativo su come i clienti interagiscono con la tua azienda e su come percepiscono tali interazioni. 

Ti sei per esempio mai chiesto perché acquisti da Amazon? Se ti stati rispondendo per i prezzi, hai toppato. Amazon ha prezzi oggi mediamente più alti della media dei competitor. Tu acquisti da Amazon per la soddisfazione cliente, soprattutto post vendita, che hai accumulato nelle esperienze più negative.

Cosa succede per esempio quando un tuo cliente non riceve un ordine o lo vuole rendere? Se hai un sistema automatizzato, in pochi minuti verrà completata la richiesta ed in pochi secondi verrà confezionata la risposta finale.

Se non lo hai, un tuo dipendente dovrà manualmente rispondere all’email e dopo ore non avrà ancora risolto definitivamente il problema, perché dovrà attendere e smistare per esempio il codice di tracciabilità.

I vantaggi della trasformazione digitale per il tuo business

Analizzate sommariamente le 3 componenti della Digital Transformation, possiamo affermare che intraprendere un percorso di trasformazione digitale offre 4 vantaggi:

  1. Aumenta la precisione
  2. Migliora la velocità
  3. Riduce i costi
  4. Rende la tua azienda più efficiente

Ma se così è non si può prescindere dal parlare e rendere misurabile il RoI (ritorno dell’investimento. Questo è un passaggio che approfondiremo in uno dei prossimi articoli. Perché forse è un indicatore rappresentativo di come applicare la digital transformation e come invece NON applicarla.

Aloha!

Digital Transformation: cos’è, ma soprattutto cosa non è?

Molti parlano di Digital Transformation, ma siamo veramente certi di aver centrato il punto?

Proverò a smontare tutto il fumo negli occhi che vi buttano!

Ho pensato a come iniziare questo articolo sulla Digital Transformation per molto tempo. In primis perchè è il primo articolo del neonato blog di BiscuitWay; in secundis perchè il tema è figo e le cose fighe di solito hanno bisogno di espressioni fighe.

Poi ho capito che le cose fighe di solito le fanno i markettari e se ho imparato una cosa negli anni è che a volte ciò che viene più difficile è andare al succo.

Quindi niente segreti del successo, niente strumenti di cui non ti aveva parlato nessuno e neanche formidabili consigli che ti spiegheranno quale libro leggere (corredato di invito all’acquisto su Amazon con tanto di affiliazione) in modo da diventare immediatamente l’innovatore di te stesso o della tua azienda o… del tuo condominio.

Cosa non è la Digital Transformation

Rompiamo il ghiaccio. Rispondiamo in maniera secca su cosa la Digital Transformation NON è. La Digital transformation non è un sito web alla Italiaonline (a proposito, simpaticissima la pubblicità), non è neanche un e-commerce, non è un gestionale wow. Non è per niente l’apertura della vostra fantastica pagina aziendale su Facebook o LinkedIn. No, vi assicuro. Non vi cagherà nessuno.

La fortuna e la sfortuna del web è che è necessario esserci ma ciò non è sufficiente per farvi trovare. Ed anche se vi trovassero, non è detto che ciò sarebbe utile al vostro business, anzi.

Cos’è la Digital transformation

Ma proviamo a dire cosa è la Digital Transformation. Per me la Digital Transformation è un cambio di visione e di approccio, detto figo figo un cambio di mindset.

Facciamo un esempio pratico e non patinato. In Italia circa il 76% delle imprese sono PMI (quindi l’universo intero a partire dalle microimprese per passare alle piccole e alle medie). Ma proviamo ad immaginare il caso di un commerciante.

Uno di quelli che per 20 anni ha alzato la sua saracinesca, ha acceso le luci, ha lavorato dentro una bottega di 36 mq contati e aspettato pazientemente i suoi clienti.

Ecco, quest’uomo, quest’eroe dei tempi moderni (e non scherzo!) oggi non ha bisogno di un sito web. Ha bisogno di aprire la sua mente a nuovi paradigmi di crescita del suo business; di qualcuno che lo aiuti a rilevare le sue potenzialità e criticità; di qualcuno che analizzi con lui di cosa ha veramente bisogno per ridurre i costi e aumentare i profitti.

Partiamo quindi da alcuni concetti base. La Digital transformation non può prescindere dal concetto di innovazione. E via con la prima citazione più che onesta:

Digital Transformation: Non solo fare cose nuove, ma anche fare quelle vecchie in modo nuovo
L’innovazione può essere la strada. Ma ricorda che innovare significa non solo fare cose nuove, ma anche fare quelle vecchie in modo nuovo (Javier Goyeneche)

L’ottimo Saverio, come amiamo chiamarlo in momenti conviviali, ha secondo me centrato il punto. Molti hanno parlato del digital, del web e dell’innovazione come il Paese dei Balocchi e in questi anni ci hanno anche fatto un bel po’ di quattrini.

Ma io ricordo molto bene che fine hanno fatto Lucignolo e Pinocchio, come so molto bene che fine hanno fatto quegli imprenditori che si sono tuffati senza criterio in questi processi.

Dopo la corsa all’innovazione, gli imprenditori e professionisti scottati da investimenti senza utilità né ritorno hanno mollato la presa e si sono rintuzzati nei loro gusci tradizionali, come fa un innamorato tradito.

Digital Tranformation e canali tradizionali

D’altra parte i canali tradizionali sono sempre funzionati, perché abbandonarli?

È proprio questo il punto, NON bisogna farlo. La Digital Transformation che si rispetti non trasforma niente che funzioni già bene. La Digital Transformation va ad intervenire solo su ciò che va veramente ottimizzato o sulla creazione di nuovi canali di vendita e/o distribuzione e/o ottimizzazione dei processi aziendali.

Ma sia chiaro, la bussola della Digital Transformation la deve tenere in mano sempre l’imprenditore o il professionista. Va bene che sia aiutato, supportato, indotto. Non va bene che la subisca, perché non modificherebbe il famosissimo e fighissimo mindset.

Le 4 fasi della Digital Transformation

Quindi in realtà come possiamo dividere la trasformazione digitale di un’azienda? Direi in 4 step:

  1. Analisi accurata della storia dell’azienda, del suo mercato di riferimento, del suo posizionamento, delle caratteristiche organizzative, delle cosiddette buyer personas, degli attuali canali di vendita e/o distribuzione;
  2. Individuazione delle potenzialità inespresse, delle criticità, delle opportunità emergenti
  3. Pianificazione degli ambiti di azione con obiettivi realistici di RoI (ritorno dell’investimento)
  4. Execution, ovvero la realizzazione di quanto progettato

In questo articolo introduttivo al tema, ho fatto lo sforzo di scomporre la transformation dal digital. Nei prossimi articoli lo ricomporrò spiegando perché non si può oggi prescindere dagli strumenti digitali.

Aloha!