Come e perché condurre un test di usabilità sul tuo sito web

Quando si progetta un sito, un’app, un e-commerce o un qualsiasi altro prodotto dobbiamo sempre tenere in considerazione quello che sarà l’utente finale, ovvero chi userà il prodotto.

Per minimizzare gli errori gli user experience designer si avvalgono dell’Usability Testing per osservare l’utente finale mentre utilizza il prodotto e comprenderne i bisogni, capirne le difficoltà che incontra e ottenere un feedback utile.

In questo articolo spiegheremo come si configura un test di usabilità, come costruire effettivamente un piano di test ed eseguirlo facilmente e senza intoppi. Quindi impareremo i dettagli dei test di usabilità, daremo risposta alle classiche domande:

  • Con quanti utenti dovrei testare?
  • Che cosa ha senso per il mio design?
  • Che tipo di test devo eseguire?
  • Quando dovrei eseguirlo?
  • Quanto spesso dovrei eseguire test di usabilità?
  • Che tipo di partecipanti devo reclutare?
  • Cosa devo dire durante un test di usabilità?
  • Cosa non dovrei dire?
  • Come acquisisco i dati?
  • Cosa sto cercando?
  • Cosa devo fare con quei dati?

Perché testare l’usabilità?

Il concetto di usabilità è affine al campo delle scienze cognitive, dell’ergonomia cognitiva e più in generale della psicologia. Un modo molto efficace di misurare l’usabilità di un tuo progetto condurre un test sugli utenti, in un ambiente controllato (ciò che in psicologia sperimentale è il set-up sperimentale).

Il test di usabilità è la tecnica numero uno per determinare quanto sia utilizzabile il tuo prodotto. Utilizzare i test si usabilità è uno standard ISO. È anche la tecnica più comunemente e frequentemente utilizzata per la progettazione incentrata sull’utente. È un modo per entrare in contatto con i tuoi utenti. E se progetti con metodologia agile, è un modo per te per avere costantemente informazioni sui tuoi utenti.

Ma, praticamente, perché testiamo l’usabilità? È per constatare se un design soddisfa le aspettative dei nostri utenti.

Quando crei o progetti qualcosa, devi sapere se funziona per i tuoi utenti, e vederli interagire con il tuo design può fornirti informazioni preziose, l’unico modo in cui puoi assicurarti che soddisfi le loro aspettative è farli giocare davvero con esso.

Quindi, è molto diverso dalla ricerca di mercato, che richiede opinioni. Ed è molto diverso dal condurre un esperimento in cui dici tu cosa fare all’utente. Nei test di usabilità sono gli utenti che giocano con il tuo prodotto e tu non li aiuti. Questa è la chiave, e devi essere molto bravo nella fase di moderazione.

Testare i tuoi utenti ti rende consapevole delle reazioni che questi possono avere con il tuo prodotto. Per questo motivo i test di usabilità sono così importanti. Oltretutto, eseguire test di usabilità ci può assicurare di non progettare la cosa sbagliata, il che vuol dire risparmiare tempo e risparmiare denaro.

Gomitolo di lana

Quale tipo di test condurre?

Ci sono due tipi di test di usabilità.

Uno è il test formale, in cui hai un laboratorio e dedichi un po’ più di tempo e un po’ più di denaro e più sforzi per coinvolgere i tuoi utenti. L’altro è più informale, un test che può essere fatto” al volo”. In questi test di usabilità (che potremmo definire agile), testiamo solo uno o due utenti una volta alla settimana per garantirci un processo iterativo di design.

Ma la differenza principale sta nella fedeltà dei prototipi che utilizzi per condurre il test.

Per i test formali vale la pena utilizzare prototipi ad alta fedeltà, cioè quella versione più completa possibile del tuo progetto. Di contro, per i test informali possono essere utilizzati prototipi a bassa fedeltà (come i rapid paper prototyping).

Non è raro che alcuni designer utilizzino il cosiddetto “Test del corridoio” come test informale, che consiste essenzialmente nel prendere un tuo amico o un tuo collega in fondo al corridoio e farlo sedere davanti al tuo design. Personalmente non sono una gran fan di questa tipologia di test, dal momento in cui il mio amico o collega potrebbe non essere rappresentativo del mio campione utenti. Tra gli strumenti che ritengo più utili per condurre un test informale resta sicuramente la prototipazione dei wireframing (o al massimo interfacce con qualche accenno di visual design).

Diventa dunque molto importante scegliere quale tipo di test condurre, di certo un test di usabilità informale con prototipi a bassa fedeltà può garantirti di apportare correzioni al tuo progetto senza troppo dispendio di tempo. È più difficile apportare correzioni quando sei già in high-fi (progetto ad alta fedeltà) e quindi in uno stato più maturo della progettazione.

Quante volte devi testare?

Idealmente, dovresti testare i tuoi progetti sia all’inizio (con test informali) sia prima del rilascio (con test formali). La chiave per intendere nel modo corretto l’efficacia dei test di usabilità è: non è una benedizione una tantum. Condurre un test è una cosa che fai tutte le volte che è necessario. Non esiste un numero magico, un quantità fissa di test che puoi condurre, puoi condurlo quando credi di essere arrivato ad un bivio tra due soluzioni e non sai scegliere, o quando il tuo progetto inizia ad essere complesso. Se pensi: “Non sono sicuro di cosa penseranno gli utenti!” faresti meglio a testarlo. Ed è chiaro che in questa prospettiva faresti bene a condurre test informali, perché un test formale costa davvero tanto sia in termini di tempo che di denaro.

E questo è il problema con i test formali. Jakob Nielsen li chiama “test di usabilità della guerriglia“. Condurre un test formale vuol dire che stai reclutando utenti, li stai organizzando, li stai pagando, forse stai affittando un laboratorio e stai preparando il set-up sperimentale. E il problema più grande è il reclutamento dei soggetti. Può capitare, più spesso di quanto credi, che non assumi i soggetti giusti – cioè persone che sono nella mentalità dei compiti che stai cercando di testare. Soggetti non in linea con i compiti che richiedi nel test potrebbero pensare “Oh, questo non è rilevante per me!”. E se non è rilevante per loro, non ti daranno il tipo di dati realistici che stai cercando.

Dunque attenzione nella scelta dei test da condurre e di quante volte potresti aver bisogno di testare! Valuta bene il tuo progetto, è molto complesso? Forse vale la pena condurre test informali perché avrai bisogno di testare molte volte!

Quanti soggetti devi testare durante l’usability testing?

La quantità di soggetti da testare dipende dalla ricerca che vuoi condurre, se qualitativa o quantitativa.

Le ricerche qualitative si basano su pochi dati e non particolarmente statistici, per questo non è necessario avere un campione numeroso di soggetti. Nelle ricerche qualitative ciò che devi raccogliere sono le metriche qualitative e quindi quelle direttamente osservabili nel comportamento dell’utente mentre esegue i task che hai assegnato (è confuso? riesce a risolvere il task senza errori? è a suo agio con l’interfaccia? pone molte domande perchè non riesce ad eseguire il task? cosa dice quando esegue i task? ecc.). Se stai conducendo questo genere di ricerca ti bastano 5 utenti. In uno studio condotto dal Nielsen&Norman Group è emerso come i 5 partecipanti siano bastevoli per far emergere l’85% dei problemi di usabilità.

Studio NN Group

Le ricerche quantitative, invece, necessitano di un numero considerevole di partecipanti, dal momento in cui le metriche di cui si necessita devono essere dati statisticamente parlanti. Se ti interessa ottenere dati sull’efficacia, l’efficienza, i tempi di esecuzione, i tassi di successo e fallimento allora devi condurre test quantitativi come gli A/B test. Per questo genere di test devi recrutare almeno 20 partecipanti.

Studio NN Group

Come pianificare un test di usabilità

Ci sono quattro passaggi chiave per i test di usabilità.

Il primo passo è creare un piano di test. Durante questa fase devi avere chiaro quello che stai cercando, cioè qual è la domanda di ricerca.

Devi pianificare l’attività, cioè quali sono i problemi da risolvere che stai dando ai tuoi utenti.

Il secondo passo è effettivamente condurre il test: facilitarlo, moderarlo. Ed è lì che tu’ osservi i problemi. Moderare un test di usabilità non è semplice, devi imparare ad essere imparziale e a non tradirti nelle indicazioni che dai all’utente; tante volte la risposta è nella domanda e questo non deve succedere! Non fare mai troppe domande all’utente, rischieresti di moderare eccessivamente. Il test di usabilità consiste davvero nel sedersi con l’utente e osservare tutto proprio come faresti con un bambino mentre sta giocando.

Il terzo passaggio consiste nell’ analisi dei dati. Questa fase è molto delicata e devi prestare molta attenzione adesso, si tratta – anche – di statistica! Se hai registrato i tuoi utenti durante il compito devi sbobinare tutte le registrazioni, appuntare cosa hanno detto e fatto di interessante o degno di nota (metriche qualitative) e devi riportare su un foglio di calcolo i tempi di esecuzione, i successi, gli insuccessi o i successi parziali (metriche quantitative).

Il quarto passaggio , alla fine, è scrivere un report. E questo potrebbe includere filmati.
Potrebbe includere anche schermate e risultati, nonché metriche, cose che hai osservato come errori o confusione. Solitamente i report finali riportano anche le soluzioni che gli Ux designer adotteranno per risolvere i problemi emersi durante la conduzione del test.

Cos’è il Design Thinking?

Quando sentiamo parlare di Design Thinking siamo portati a credere che si tratti di “qualcosa” esclusivamente per designer. In realtà tutti i grandi innovatori della letteratura, dell’arte, della musica, della scienza, dell’ingegneria e del business lo hanno praticato.

Il Design Thinking è un modello progettuale, un approccio, un processo iterativo in cui cerchiamo di comprendere l’utente, formulare ipotesi e ridefinire i problemi nel tentativo di identificare strategie e soluzioni alternative che potrebbero non essere immediatamente evidenti con il nostro livello iniziale di comprensione. È un modo di pensare e lavorare, nonché una raccolta di metodi pratici che ci aiuta a osservare e sviluppare empatia con l’utente target.

Il Design Thinking è estremamente utile per affrontare problemi che sono mal definiti o sconosciuti, ri-inquadrando il problema mettendo al centro l’utente.
Nel design, il Design Thinking implica anche una sperimentazione continua: schizzi, prototipazione, test e prove di concetti e idee.

Il Design Thinking e la capacità di problem solving; un esempio epico!

Pensare fuori dagli schemi può fornire una soluzione innovativa ad un problema annoso. Tuttavia, pensare fuori dagli schemi può essere una vera sfida, poiché sviluppiamo naturalmente dei modelli di pensiero rigidi, frutto delle attività ripetitive che compiamo e dalle credenze e conoscenze pregresse.

Per spiegare meglio la capacità di trovare soluzioni innovative vi raccontiamo un episodio accaduto molti anni fa, quando si verificò un incidente in cui un camionista restò incastrato sotto un ponte basso. Il conducente non fu più in grado di avanzare o di retrocedere.

La storia racconta che quando il camion si è bloccato, ha causato enormi problemi di traffico, che hanno portato il personale di emergenza, ingegneri, vigili del fuoco e camionisti a riunirsi per escogitare varie soluzioni per lo spostamento del veicolo intrappolato. Gli addetti all’emergenza stavano discutendo se smantellare parti del camion o tagliare parti del ponte. Ciascuno ha parlato di una soluzione che rientrava nel rispettivo livello di competenza.
Un ragazzo che passava e assisteva al dibattito intenso guardò il camion, poi il ponte, poi guardò la strada e disse con nonchalance: “Perché non sgonfiare semplicemente le gomme?”
Quando la soluzione fu stata testata riuscirono a liberare facilmente il camion.

Questa storia simboleggia la continua lotta che affrontiamo quando le soluzioni più ovvie sono quelle più difficili da trovare a causa dei nostri modelli mentali limitanti. Molto spesso è difficile sfidare i nostri presupposti e le nostre conoscenze, perché facciamo affidamento sulla costruzione di schemi di pensiero per non dover imparare tutto da zero ogni volta. Ci affidiamo troppo spesso a processi quotidiani più o meno inconsciamente, ad esempio quando ci alziamo la mattina, mangiamo, camminiamo e leggiamo, ma anche quando valutiamo le sfide sul lavoro e nella nostra vita privata. In particolare, esperti e specialisti si basano su solidi schemi di pensiero.

Il potere dello storytelling

Perché ti abbiamo raccontato questa storia? Raccontare storie può aiutarci a trovare opportunità, idee e soluzioni. Le storie sono incorniciate da persone reali e dalle loro vite e ci forniscono dettagli concreti che ci aiutano a immaginare soluzioni a problemi particolari.
Il pensiero progettuale, atomo fondamentale del processo del Design Thinking, viene spesso definito pensiero “fuori dagli schemi”, ed è importante sfidare i nostri presupposti per trovare nuovi modi di risolvere i problemi.

Nel Design Thinking il pensiero “fuori dagli schemi” gioca un ruolo fondamentale!

Il Grand Old Man della User Experience, Don Norman, che ha anche coniato il termine User Experience, spiega cos’è il Design Thinking e cosa c’è di così speciale:


“… più riflettevo sulla natura del design e sui miei recenti incontri con ingegneri, uomini d’affari e altri che hanno risolto ciecamente i problemi che pensavano di affrontare senza domande o ulteriori studi, più mi sono reso conto che queste persone potevano beneficiare di una buona dose del pensiero progettuale. I designer hanno sviluppato una serie di tecniche per evitare di essere catturati da una soluzione troppo facile. Prendono il problema originale come un suggerimento, non come un’affermazione finale, quindi pensano ampiamente a quali potrebbero essere realmente i problemi alla base. La cosa più importante di tutte è che il processo è iterativo ed espansivo. I designer resistono alla tentazione di saltare immediatamente a una soluzione del problema. Invece, prima di tutto trascorrono del tempo a determinare quale sia il problema di base (fondamentale) e non provano a cercare una soluzione fino a quando non hanno determinato il vero problema e anche allora, invece di risolverlo, si fermano a considerare un’ampia gamma di potenziali soluzioni. Solo alla fine di questo processo convergeranno su una soluzione. Questo processo si chiama “Design Thinking”

Don Norman, Ripensare il pensiero progettuale

Il Design Thinking è essenzialmente un approccio di problem solving, cristallizzato nel campo del design, che combina una prospettiva centrata sull’utente con la ricerca razionale e analitica di creare soluzioni innovative.

Le fasi del Design Thinking

Esistono molte varianti del processo di Design Thinking in uso oggi e hanno tutte da tre a sette fasi. Tuttavia le varianti sono molto simili e racchiudono gli stessi principi. Qui, ci concentreremo sul modello in cinque fasi proposto dall’ Hasso-Plattner Institute of Design presso Stanford. Abbiamo scelto questo approccio perché sono in prima linea nell’applicazione e nell’insegnamento del Design Thinking.

Le cinque fasi di Design Thinking, secondo Hasso-Plattner Institute of Design, sono le seguenti:

Empatizza con i tuoi utenti

Definisci le esigenze dei tuoi utenti, il loro problema e le tue intuizioni

Ideazione di ipotesi e creazione idee per soluzioni innovative

Prototipazione per iniziare a creare soluzioni

Testare le soluzioni

È importante sottolineare che le cinque fasi non sono sempre sequenziali. Non devono seguire un ordine specifico e spesso possono verificarsi in parallelo o ripetersi.

1. Empatizzare

La prima fase del processo di Design Thinking è acquisire una comprensione empatica del problema che si sta tentando di risolvere. Ciò comporta la consulenza di esperti per scoprire di più sull’area di interesse attraverso l’osservazione, nonché l’immergersi nell’ambiente fisico in modo da poter ottenere una comprensione personale più profonda delle questioni. L’empatia è cruciale per un processo di progettazione incentrato sull’uomo come il Design Thinking, e l’empatia consente ai progettisti di mettere da parte le proprie assunzioni sul mondo al fine di ottenere informazioni sugli utenti e sui loro bisogni.

A seconda dei vincoli temporali, in questa fase viene raccolta una notevole quantità di informazioni da utilizzare durante la fase successiva e per sviluppare la migliore comprensione possibile degli utenti, delle loro esigenze e dei problemi che sono alla base dello sviluppo di quel particolare prodotto.

2. Definizione (del problema)

Durante questa fase metti insieme le informazioni che hai creato e raccolto durante la fase Empatizzazione. Qui è dove analizzerai le tue osservazioni e le sintetizzerai al fine di definire i problemi fondamentali che tu e il tuo team avete identificato fino a questo punto. Dovresti cercare di definire il problema come un’affermazione.

La fase della Definizione aiuterà i progettisti del tuo team a raccogliere grandi idee per stabilire caratteristiche, funzioni e qualsiasi altro elemento che consenta loro di risolvere i problemi o, almeno, di consentire agli utenti di risolvere i problemi da soli con la minima difficoltà.

3. Ideazione

Durante la terza fase del processo di Design Thinking, i progettisti sono pronti a iniziare a generare idee. Sei cresciuto per capire i tuoi utenti e le loro esigenze nella fase Empatizzazione, hai analizzato e sintetizzato le tue osservazioni nella fase Definizione con una dichiarazione del problema centrata sull’utente. Con questo solido background, tu e i membri del team potete iniziare a “pensare fuori dagli schemi” per identificare nuove soluzioni al problema. Esistono centinaia di tecniche di ideazione come ad esempio il Brainstorming. Le sessioni Brainstorming sono in genere utilizzate per stimolare il pensiero libero ed espandere lo spazio del problema. È importante ottenere quante più idee o soluzioni possibili all’inizio della fase di ideazione.

4. Prototipazione

Il team di progettazione produrrà ora una serie di versioni “economiche” e ridotte del prodotto, in modo da poter esaminare le soluzioni ai problemi generate nella fase precedente. I prototipi possono essere condivisi e testati all’interno del team stesso, in altri reparti o su un piccolo gruppo di persone al di fuori del team di progettazione. Questa è una fase sperimentale e l’obiettivo è identificare la migliore soluzione possibile per ciascuno dei problemi identificati durante le prime tre fasi. Le soluzioni sono implementate all’interno dei prototipi e, una ad una, vengono studiate e accettate, migliorate e riesaminate o rifiutate sulla base dell’esperienza degli utenti. Entro la fine di questa fase, il team di progettazione avrà una migliore idea dei vincoli inerenti al prodotto e ai problemi presenti e avrà una visione più chiara di come gli utenti reali si comporterebbero, penserebbero e si sentirebbero quando interagiranno con il prodotto finale.

5. Testare

I progettisti testano rigorosamente il prodotto completo utilizzando le migliori soluzioni identificate durante la fase di prototipazione. Questa è la fase finale del modello a 5 fasi, ma in un processo iterativo, i risultati generati durante la fase di test vengono spesso utilizzati per ridefinire uno o più problemi ulteriori. Anche durante questa fase, vengono apportate modifiche e perfezionamenti al fine di escludere soluzioni problematiche e ottenere una comprensione il più profonda possibile del prodotto e dei suoi utenti.

The take away!

Il Design Thinking è essenzialmente un approccio di problem solving, che prevede la valutazione sia di aspetti noti che l’identificazione dei fattori più ambigui di un problema. Il Design Thinking è un processo iterativo in cui la conoscenza viene costantemente messa in discussione, quindi può aiutarci a ridefinire un problema nel tentativo di identificare strategie e soluzioni alternative. Il Design Thinking viene spesso definito “pensiero fuori dagli schemi”, poiché i designer tentano di sviluppare nuovi modi di pensare che non rispettano i metodi più comuni di risoluzione dei problemi, proprio come fanno gli artisti. Alla base del Design Thinking c’è l’intenzione di migliorare i prodotti analizzando il modo in cui gli utenti interagiscono con loro e studiando le condizioni in cui operano.

Dall’idea al prodotto: cos’è il Rapid Prototyping?

Come si convalida un’idea che è solo in progetto? Come si possono minimizzare i tempi di esecuzione?

Se ti stai ponendo queste domande è perché hai bisogno di rendere tangibile la tua idea imprenditoriale. Spesso durante il processo di digital transformation è necessario trovare la giusta soluzione che rispecchi tutti gli obiettivi fissati e, perché no, scoprirne di nuovi e necessari prima che sia troppo tardi.

Come farlo? Ma con la prototipazione, chiaro!

La User Experience è la base del Rapid Prototyping

Come ti ho raccontato nell’articolo User experience design: cos’è e perché ne hai bisogno?, la progettazione UX è un processo iterativo, flessibile e focalizzato sulla collaborazione tra designer e utenti, con un’enfasi sul dare vita alle idee in base a come gli utenti reali pensano, sentono e si comportano.

In questo processo è fondamentale definire e inquadrare l’obiettivo dell’interazione utente- interfaccia/prodotto/sistema. Stabiliti gli obiettivi e definiti i problemi da risolvere inizia una fase di ideazione nella quale si da vita a molte idee…ma tutte da convalidare!

La fase di prototipazione prevede la creazione di un prototipo del tuo prodotto che potrebbe essere:

  • low-fidality 
  • mid-fidality
  • high-fidality

La fase di prototipazione è propedutica alla fase successiva, cioè quella di testing.

Perché hai bisogno di creare un prototipo?

Creare un prototipo permette di produrre una versione anticipata, economica e ridotta del prodotto al fine di rivelare eventuali problemi nell’idea di design.

Il Rapid Prototyping offre ai designer l’opportunità di dare vita alle loro idee, testare la fattibilità del progetto attuale e indagare potenzialmente su come un campione di utenti pensa e sente quel prodotto.

I prototipi vengono spesso utilizzati nella fase finale di test per determinare il comportamento degli utenti, rivelare nuove soluzioni ai problemi o scoprire se le soluzioni implementate hanno avuto successo.

I risultati generati da questi test vengono quindi utilizzati per ridefinire uno o più dei problemi riscontrati nelle fasi precedenti del progetto e per acquisire una comprensione più solida dei problemi che gli utenti possono incontrare durante l’interazione con il prodotto nell’ambiente previsto.

Sarebbe insensato e inutile produrre un prodotto finito che gli utenti possano testare. Al contrario, i designer possono fornire versioni semplici e ridotte dei loro prodotti, che possono essere utilizzate per osservare, registrare, giudicare e misurare i livelli di prestazione degli utenti in base a elementi specifici o il comportamento generale, le interazioni e le reazioni degli utenti. Queste versioni semplici e ridotte sono proprio i prototipi in low-fidality.

Cos’è un prototipo in low-fidality?

I prototipi a bassa fedeltà possono essere modelli realizzati in modo economico e semplice o semplicemente raccontarli o visualizzarli.

Un prototipo a bassa fedeltà può essere semplicemente uno sketch carta e matita, e implica l’uso di modelli di base. Ad esempio, il modello potrebbe essere incompleto e utilizzare solo alcune delle funzionalità che saranno disponibili nel progetto finale, oppure potrebbe essere costruito utilizzando materiali non destinati all’articolo finito, come legno o carta. 

Sketch prototipo ux

Perché iniziare creando un prototipo low-fidality?

Creando i nostri prototipi low-fidality entriamo proprio nel vivo del rapid prototyping: letteralmente la prototipazione veloce!

Questa fase embroniale di design e testing ci permetterà di ottenere diversi vantagi, quali:

  1. È veloce ed economico.
  2. È possibile apportare modifiche istantanee e testare nuove iterazioni.
  3. Consente al designer di ottenere una visione d’insieme del prodotto utilizzando il minimo tempo e fatica, invece di concentrarsi sui dettagli più fini nel corso di modifiche lente e incrementali.
  4. Disponibile a tutti: indipendentemente da capacità ed esperienza, siamo in grado di produrre versioni rudimentali di prodotti al fine di testare gli utenti o tracciare le opinioni degli stakeholder.
  5. Incoraggia e promuove il pensiero progettuale.

Ideare un rapid prototyping ci permette di testare velocemente un’idea, un design. È come un setaccio, economico e veloce, che ci permette di discriminare i primi grandi errori grossolani di progettazione e porne così rimedio.

Dopo il prototipo low-fidality, qual è il passo successivo?

Successivamente, attraverso un metodo agile, potremmo pensare di prototipare il prodotto in high-fidality e ri-testare nuovamente.

La fase di test infatti è continua e non dovrebbe mai essere abbandonata. Questa volta, cambiando l’approccio, il nostro setaccio sarà meno economico, ma farà emergere ancora altri errori di progettazione, e potremmo così rettificare ulteriormente il progetto.

Questo processo potrebbe durare fino all’infinito e oltre: o almeno fino a quando il nostro progetto avrà un tasso di successo vicino al 100%!

Come fare un prototipo rapido?

In BiscuitWay ci impegniamo a sviluppare i progetti di UX per andare incontro alle esigenze relative al percorso complessivo di Digital Transformation che i nostri clienti ci richiedono sfruttando la tecnica del rapid prototyping.

Vuoi capire come può evolversi il tuo progetto grazie alla UX? Contattaci e valuteremo insieme quali sono le criticità del tuo progetto e come risolverle!

User experience design: cos’è e perché ne hai bisogno?

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un iperbolica crescita di contenuti web, sponsorizzazioni di servizi, corsi di studio e di formazione che citavano l’acronimo UX.

Un acronimo che sicuramente ha il potere di rendere più mainstream qualsiasi concetto si voglia veicolare.

Proprio qui sta il problema: ormai è tutto un’enorme UX!

Siamo sicuri di conoscere questa disciplina? Siamo consapevoli di cosa si occupi, quando è necessaria e perché è così fondamentale?

Molti, moltissimi, risponderanno affermativamente. Ormai ci droghiamo di UX.
Se anche tu vuoi drogarti di UX ti regaliamo la prima dose.

Cos’è la UX?

UX è l’acronimo di User Experience (letteralmente esperienza utente) ed è uno dei fattori determinanti, se non IL fattore determinante, tra un prodotto e/o servizio che affonda senza lasciare traccia e uno che vede vendite enormi.

Quando si sviluppano prodotti, dispositivi, interfacce e sistemi, ci sono numerose e importanti considerazioni da valutare, soprattutto come questi interagiscono con l’utente finale. Il campo della UX mira a portare l’utente al centro del pensiero del progettista.

Facendo un breve viaggio tra i tecnicismi, la definizione di UX che ci fornisce l’ISO (Organizzazione internazionale per la normazione) è la seguente:

La user experience sono le percezioni e risposte di una persona derivanti dall’uso o dall’uso previsto di un prodotto, sistema o servizio.

Quando nasce la User Experience?

La User Experience, a differenza di ciò che si crede, non è una disciplina-approccio giovanissima. Lo studio dell’interazione uomo-macchina (perché di questo si tratta, cioè l’ergonomia cognitiva) affonda le radici nell’epoca della della Rivoluzione Industriale tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX. In un’epoca di velocissimo progresso tecnologico era diventato necessario rendere efficace ed efficiente le interazioni tra i lavoratori e i loro strumenti. Riuscite a sentire anche voi i primi vagiti della UX?

Dall’inizio del secolo scorso ad oggi ne è passata di acqua sotto i ponti, e gli studi sulla UX sono stati numerosissimi, così come le sue applicazioni.

Ma è solo all’inizio dei fantastici anni ‘90 che sentiamo per la prima volta la parola User Experience, e lo dobbiamo ad un certo Donald Noman che da poco era entrato a far parte della famiglia Apple. Donald Norman era uno psicologo, cognitivista per la precisione, che fu incaricato del ruolo di User Experience Architect, cioè colui che si occupava di Human Interface e Usabilità.

Come nostro papà Donald ci insegna, lo User Interface Design e l’usabilità non sono altro che particelle del maremagnum della User experience. E fu così che coniò il nuovo termine, che oggi è sulla bocca di tutti gli addetti ai lavori.

Questa panoramica storica sulla UX è utile per prendere consapevolezza del fatto che i suoi ambiti di applicazione sono innumerevoli e che non deve essere semplicemente pensata come il risultato di qualsiasi cosa sia bella, bensì come un approccio di progettazione in cui si adottano paradigmi e obiettivi ben studiati.

UX design e visione multidisciplinare

La UX comprende molte discipline diverse:

  • la progettazione visiva sicuramente
  • l’interazione utente-interfaccia
  • l’architettura dell’informazione
  • la progettazione dell’interazione.

Ognuna di queste prospettive progettuali garantisce che l’esperienza interattiva sia il più semplice, efficiente, accurata e divertente possibile.

User test

Il concetto di usabilità

Per comprendere meglio quanto sia “olistica” la UX basti pensare alla dicotomia (errata) UX-usabilità. Infatti, spesso e volentieri la UX viene declassata nel concetto di usabilità.

“Usabilità” si riferisce alla facilità di accesso e/o utilizzo di un prodotto o sito web ed è una sotto-disciplina del design dell’esperienza utente. Sebbene un tempo la progettazione UX e l’usabilità fossero usate in modo intercambiabile, ora dobbiamo capire che l’usabilità fornisce un contributo importante alla UX; tuttavia, non è l’intera esperienza.

Un design non è utilizzabile o inutilizzabile di per sé: si devono considerare le sue caratteristiche, quelle dell’utente, ciò che l’utente vuole fare con esso e il contesto d’uso.

Un’interfaccia usabile ha tre risultati principali e dovrebbe essere facile per l’utente:

  1. acquisire familiarità e competenza nell’uso dell’interfaccia al primo contatto. Se prendiamo il sito web di un’agenzia di viaggio che un ux designer ha realizzato bene, l’utente dovrebbe essere in grado di spostarsi attraverso la sequenza di azioni per prenotare rapidamente un biglietto;
  2. raggiungere il suo obiettivo. Se un utente ha l’obiettivo di prenotare un volo, un buon design lo guiderà attraverso il processo più semplice per acquistare quel biglietto;
  3. usare l’interfaccia nelle visite successive. Quindi, un buon design sul sito di un’agenzia di viaggio significa che l’utente dovrebbe imparare dalla prima volta e prenotare un secondo biglietto altrettanto facilmente.

Questi non sono gli unici requisiti per l’usabilità, ovviamente. Per scovarli tutti dovremmo misurare l’usabilità durante tutto il processo di progettazione, dai wireframe ai prototipi fino alla consegna finale.

I test possono essere eseguiti con carta e matita, ma anche in remoto quando disponiamo di prototipi ad alta fedeltà. Tutto questo per avere un’idea chiara (e misurabile) su quesiti come:

  • Un utente in quanto tempo arriva all’obiettivo (ad esempio la call to action “Acquista”)?
  • Qual è la percentuale di utenti che commette prove e ed errori prima di raggiungere l’obiettivo?
  • Qual è il tasso di abbandono degli utenti (tasso di insuccesso) che non riescono a raggiungere l’obiettivo? E perché?

Da qui potrebbero partire altre potenziali “millemila” domande di ricerca entrando nel campo della User Research e nel Usability testing, altre particelle del maregnum della UX.

Quali sono i punti cardine su cui si basa la User Experience?

Ancora una volta tutto questo non è che solo un aspetto della UX. Tendenzialmente possiamo azzardare di riassumere i punti salienti della UX così:

  1. Usabilità: è una misura della capacità di un utente di arrivare su un sito, usarlo facilmente e completare l’attività desiderata.
  2. Contenuti utili: il sito web dovrebbe includere informazioni sufficienti in un formato facilmente digeribile. Tieni a mente la Legge di Hick: razionalizza il tuo design per essere semplice. Usa la moderazione.
  3. Contenuti desiderabili e piacevoli: le migliori esperienze utente arrivano quando l’utente può creare un legame emotivo con il prodotto o il sito web. Ciò significa andare oltre l’utilizzabile e l’utile e lo sviluppo di contenuti che creano quel legame. Il design emozionale è una parte enorme dell’esperienza dell’utente. Un sito web di ricette che offre suggerimenti quotidiani potrebbe rivelarsi utile. Ma se quel suggerimento è divertente, gli utenti non si limiteranno a ricordare la ricetta; possono tornare per di più!
  4. Accessibilità: per le persone con diversi livelli di disabilità, le esperienze online possono essere profondamente frustranti. Esistono una serie di standard di accessibilità con cui i siti devono conformarsi per aiutare i non vedenti, i non udenti, ecc. I contenuti per l’apprendimento dei disabili richiedono un’attenta considerazione al fine di fornire un’esperienza utente più completa.
  5. Credibilità: anche la fiducia che il tuo sito web genera nei tuoi utenti ha un ruolo nell’esperienza utente. Una delle maggiori preoccupazioni degli utenti online è la sicurezza (in molti casi si preoccupano anche della privacy). Affrontare queste preoccupazioni attraverso la progettazione, ad esempio mostrando funzionalità di sicurezza e avendo politiche facilmente accessibili riguardo a queste preoccupazioni, può aiutare a creare un senso di credibilità per l’utente.

Quali sono i vantaggi di una progettazione UX per un sito web?

La progettazione UX e la progettazione centrata sull’utente (User Centered Design) costano denaro. Non c’è modo di aggirare questo, il che significa che ci sono ancora molte organizzazioni là fuori che resisteranno a un design UX o all’approccio UCD come parte della loro metodologia di sviluppo. Dopotutto, le finanze sono raramente illimitate e le aziende competono in un mercato globale spietato. Ma esistono dei veri vantaggi per chi decide invece di investirci.

Il tuo prodotto e i vantaggi di un approccio in chiave UX

  • Prodotti che soddisfano le esigenze dell’utente – Se i tuoi utenti sono coinvolti nel processo di progettazione, il tuo prodotto finale dovrebbe soddisfare le loro esigenze. Ciò dovrebbe offrire un’offerta più redditizia dal punto di vista commerciale e quindi livelli di profitto più elevati per l’azienda.
  • Prodotti che richiedono meno aggiustamenti dopo il rilascio – È più economico e più semplice modificare schizzi, wireframe e prototipi rispetto a modificare un prodotto dopo il lancio. La UX consente a un’azienda di elaborare ciò che non funziona e quindi abbandonarlo prima della fase di sviluppo piuttosto che dopo.
  • Prodotti che sono meno rischiosi per la reputazione dell’azienda – La UX è una misura di qualità. Quando rilasci prodotti che gli utenti amano usare e che soddisfano le loro esigenze la tua reputazione aziendale crescerà. Al contrario, se le cose non vanno bene, la tua reputazione cadrà.
  • Prodotti che sono relativamente immuni al creep scope – Se si definiscono le esigenze dell’utente e quindi si progetta pensando a loro ci dovrebbe essere molto meno creep di portata e ciò rende più semplice il progetto e la definizione di un calendario di consegna.
  • Prodotti che sono competitivi – Con la fase di ricerca di UX dovresti sapere cosa stanno facendo i competitor e come il tuo prodotto sarà “migliore”. Il design in questo modo si basa sulle prove e non sugli “istinti viscerali” del team di sviluppo.

Come approcciarsi alla User Experience?

Sarebbe meraviglioso se potessimo tracciare i confini dell’esperienza dell’utente come se fosse un paese su una mappa. Sfortunatamente, la realtà è più sfocata.

Per quanto ci piace dare un senso ai fenomeni e applicare i framework, dobbiamo ricordare che gli utenti sono persone. In quanto tali, prendono decisioni guidate dalla logica e dalle emozioni.

Naturalmente, l’usabilità di un design è importante. Tuttavia, dobbiamo considerare l’usabilità insieme ad altre questioni per creare un’esperienza utente eccezionale. La UX proviene tanto dalla progettazione grafica, dalla progettazione interattiva, dai contenuti, dall’usabilità, dalla ricerca e da tanto altro ancora.

In una Growth Agency come Biscuitway l’obiettivo primario è la crescita a 360 gradi dell’azienda del cliente e l’approccio multidisciplinare dello User Experience Design fa da collante in tutte le fasi della messa in opera di un progetto: dall’ideazione, allo sviluppo, alla strategia di marketing.

In BiscuitWay ci impegniamo a sviluppare i progetti di UX per andare incontro alle esigenze relative al percorso complessivo di Digital Transformation che i nostri clienti ci richiedono.

Vuoi capire come può crescere il tuo progetto grazie alla UX? Contattaci e valuteremo insieme quali sono le criticità del tuo progetto e come risolverle!

Come costruire la tua digital brand identity in 5 mosse

Digital brand identity: perché ne hai bisogno

Tempi duri per chi non riesce a distinguersi, specialmente online. Sapevi che l’immagine del tuo marchio è il biglietto da visita più persuasivo che possa esserci per attrarre potenziali clienti? Ecco perché in questo articolo ti spiegherò come costruire una digital brand identity per il tuo business in 5 mosse.

Il web è quel posto affascinante e imprevedibile che offre grosse opportunità alle aziende in grado di sfruttare il suo sconfinato potenziale per migliorare la propria visibilità online. Con altrettanta forza, getta nell’oblio quelle che non conoscono le regole del gioco.

Il rischio di cadere in fretta nel dimenticatoio, finendo per essere accomunati a centinaia di altre attività che pensavano erroneamente di aver avuto l’idea del secolo è più che concreto.

Se alla domanda “a chi mi rivolgo?” la tua azienda è la prima opzione nella mente di un potenziale cliente, vuol dire che la tua brand identity funziona alla grande.

In caso contrario, faresti meglio a continuare a leggere.

Da dove iniziare per costruire la tua brand identity digitale?

Costruire dal nulla l’identità di un marchio non è di certo impresa da poco. Prima di tutto, creare una brand identity non si limita alla realizzazione di un logo o di un’immagine.

Un’identità forte per il tuo brand fa in modo che il tuo target si riconosca nei valori della tua azienda, permettendole di diventare il principale punto di riferimento riguardo a determinate visioni del mondo condivise dagli utenti.

Catturare l’attenzione, convertirla in interesse e creare un legame col tuo pubblico: vediamo come costruire la tua digital brand identity in 5 mosse!

1. Conosci il tuo target

Identificare il target a cui vuoi rivolgerti e gli obiettivi che vuoi raggiungere costituiscono i primi passi di un’azione efficace di brand building.

Per farlo può senza dubbio essere utile analizzare la strategia dei tuoi competitor:

  • Come si presentano?
  • Di quali valori si fanno portatori?
  • Quali social prediligono?

Conoscere l’approccio della concorrenza dà alcune importanti indicazioni: può aiutarti a capire in cosa l’identità del tuo brand può discostarsi dalle altre e come creare un messaggio che ti permetta di renderti diverso rispetto a loro.

Le persone costituiscono l’elemento centrale della tua strategia: dopo aver individuato quelle a cui si rivolgono i competitor, è arrivato il momento di costruire un tuo target di riferimento! In questo caso sarà necessario costruire un modello ideale di quello che potrebbe essere il pubblico interessato al tuo brand.

L’identità di un marchio non è altro che il dialogo che questo è in grado di instaurare con coloro a cui si rivolge. Per fare in modo che questa conversazione ottenga gli esiti sperati, devi conoscere il tuo interlocutore!

Solo dopo aver raccolto le informazioni utili che ti permetteranno di conoscere il tuo potenziale cliente, potrai iniziare a porre le basi per la creazione della tua brand identity.

2. Sii riconoscibile

In questa fase dovrai mettere in moto tutta la tua originalità. Dalla realizzazione di un logo alla costruzione di un vero e proprio messaggio: nulla dovrà essere lasciato al caso.

Sarà importante quindi aver chiara e saper trasmettere una value proposition che sia in grado di esprimere efficacemente l’immagine della tua azienda. Esporre in modo chiaro i tuoi obiettivi ti permetterà di trasmettere in maniera diretta e univoca i valori di cui la tua attività si farà portatrice.

La tua promessa di valore dovrà rappresentare un punto di contatto tra te e le aspettative del tuo target. Potremmo parlare di una sorta di compromesso la cui finalità è la piena soddisfazione per entrambe le parti.

La value proposition ideale avrà la capacità di:

  1. essere comprensibile da chiunque al primo impatto;
  2. presentare risultati concreti e misurabili, meglio ancora se supportati da dati;
  3. distinguersi da quella della concorrenza.

Per fare in modo che il tuo messaggio sia efficace bisognerà dare al brand un aspetto convincente.

Anche l’occhio vuole la sua parte!

L’aspetto visivo dovrà essere in grado di comunicare in modo immediato anche ciò che non viene detto. Immagini, colori, oggetti materiali: ogni elemento serve ad esprimere l’essenza del tuo marchio.

Proprio per questo motivo dovrai porre molta attenzione alla cura del tuo logo e del nome del brand. L’originalità e la creatività sono armi vincenti, ma non dimenticare di essere semplice ed incisivo!

Il nome deve essere di immediata comprensione e non lasciare spazio a nessun tipo di confusione. La cosa migliore che tu possa fare, se il tuo brand non ne ha ancora uno, è sicuramente quella di NON copiare nomi già utilizzati da altri.

Fai mente locale, butta giù un po’ di idee e cerca di non essere banale!

Nel pensare ad un nome adatto al tuo marchio non dovrai trascurare il logo a cui dovrà accompagnarsi. Dal font, che dovrà essere più personalizzato e semplice possibile, alla palette di colori, nulla deve essere lasciato al caso.

A proposito dei colori: sapevi che alcuni si adattano meglio di altri alle tue esigenze comunicative? Ogni tonalità rappresenta emozioni diverse, quindi il tuo compito sarà quello di trovare quelle più consone al messaggio che intendi trasmettere con la tua immagine.

Se volessi dare al tuo brand un aspetto sofisticato, la tua scelta potrebbe ricadere su colori come il viola o il nero; per lanciare un messaggio che esprima positività ed esuberanza saranno più adatti i toni del giallo e dell’arancione.

Si tratta naturalmente di esempi; non esiste una regola fissa che vieti espressamente l’utilizzo di determinati colori in certe circostanze. L’importante è avere ben chiare le emozioni sulle quali si vuole puntare ed evitare di utilizzare troppi colori.

Proprio come il nome, anche il logo necessita di semplicità. Per questo è fondamentale averne uno che si adatti e sia leggibile ovunque: sul sito web, sui social e sulla carta stampata.

3. Racconta la tua storia

Alle persone piace ascoltare delle storie.

Quanto più la narrazione si avvicinerà al loro vissuto personale e alle loro esperienze, tanto più i tuoi potenziali clienti saranno interessati ad ascoltarti.

Un brand storytelling d’impatto può davvero fare la differenza quando si tratta di creare un’identità forte e condivisa. I valori e i principi che vuoi veicolare acquisteranno forza, se a sostenerli ci sarà una narrazione in grado di dar loro il giusto risalto.

Un prodotto del tutto identico ad altri riuscirà a distinguersi solo grazie alla sua capacità di suscitare emozioni nel pubblico a cui si riferisce.

Hai mai pensato ai motivi che hanno portato Apple o Ikea a divenire aziende leader nei rispettivi settori? La qualità e l’estetica dei prodotti sono importanti ma non sono sufficienti a rendere conto di un successo simile.

La percezione dei consumatori sì: la gente non si basa tanto sul prodotto, quanto sull’idea che si è costruita attorno ad esso.

La rappresentazione di scene che potrebbero benissimo far parte del vissuto di ognuno di noi, la propensione all’inclusività, l’apertura verso l’altro: questi sono alcuni dei fattori che hanno portato queste aziende a creare un legame molto forte con il loro pubblico, al punto da surclassare avversari la cui qualità dei prodotti non ha nulla in meno rispetto ai loro.

Nel caso in cui te lo stia chiedendo: sì, la narrazione commovente in cui un bimbo realizza il sogno di sentirsi grande acquisendo centimetri in altezza grazie all’adattabilità dei mobili Ikea è molto più efficace di quanto non sembri!

https://www.youtube.com/watch?v=2EK5yeWxtYQ&ab_channel=IKEAitalia

Per poter vendere bisogna saper attrarre, ma, prima di tutto, coinvolgere!

4. Mantieni le promesse

A nessuno piacciono i bugiardi o le persone incoerenti.

Qualsiasi tipo di emozione tu voglia suscitare, questa dovrà essere autentica e supportata dal corretto tono di comunicazione, che dovrà essere quanto più possibile in linea con il messaggio che intendi veicolare, oltre a mantenere una sua coerenza nel tempo.

Se la tua promessa di valore non viene mantenuta, il tuo brand perderà inevitabilmente credibilità. L’imbroglio non è contemplato! Perciò cerca di essere quanto più autentico possibile ed evita di mentire al tuo pubblico, perché prima o poi ti scoprirà.

Ciò che NON devi assolutamente fare è lanciare messaggi che non siano in linea con quella che è indicata come la mission del tuo marchio. Questo non fa altro che creare confusione nel tuo pubblico, con degli esiti controproducenti che in alcuni casi possono portare il cliente all’abbandono del brand.

5. Elabora la tua strategia comunicativa

A questo punto quello che devi fare è “semplicemente” diffondere il tuo messaggio. Come farlo?

Partiamo subito da un presupposto: molto probabilmente non puoi farlo da solo. Dovrai quindi far riferimento a dei professionisti in possesso di capacità tecniche e creative di diverso tipo.

Strutturare un sito web in cui nessun dettaglio sia lasciato al caso, che invogli ogni visitatore a tornarvi con la prospettiva di divenire un cliente non è assolutamente facile. Allo stesso modo, cercare di posizionarsi nelle SERP correttamente richiede determinate competenze di cui non tutti sono in possesso.

Non finisce qui: oltre a portare le persone a trovare il tuo sito web, devi fare in modo anche che ci restino. Qui entrano in gioco il content marketing, che deve presentare contenuti originali e di qualità, così come il social media marketing, attraverso il quale sarà possibile creare strategie diverse per i vari social in cui deciderai di muoverti (e anche qui, sai quali sono quelli su cui dovrai lavorare?).

Insomma, fare tutto da soli non sembra essere l’opzione migliore. Se vuoi avere successo non puoi limitarti a restare a galla con mezzi di fortuna, ma devi scegliere un equipaggio esperto!

Costruisci la tua digital brand identity in 5 mosse… Più una!

Ecco perché hai bisogno di una Growth Agency che aiuti il tuo marchio a crescere sotto ogni aspetto. Grazie alle professionalità e competenze diversificate al suo interno, BiscuitWay si impegna a realizzare la tua brand identity digitale in tutte le sue componenti: dall’ideazione dell’immagine aziendale al design del logo, dal pay off al copywriting e così via.

Che tu abbia un progetto ben chiaro in mente, tante idee confuse o nessuna, non importa! BiscuitWay si prende cura del tuo business dalla A alla Z, permettendoti di ottenere un’immagine che parli di te in modo coerente, sincero e attrattivo.

Contattaci, a come costruire la tua digital brand identity in 5 mosse ci pensiamo insieme!